Secondo studi recenti su salute, territorio e società contemporanea il disturbo da Attacco di Panico colpisce tra lo 0,4 e il 3% degli individui. A soffrire di attacchi di panico sono soprattutto le donne con un’incidenza, in rapporto ai maschi, perfino di quattro a uno. Sono infatti maggiormente le donne a richiedere interventi psicoterapeutici per un malessere che appare dilagante nella società attuale, nella cosiddetta postmodernità.
Le richieste sociali e le esigenze individuali di autoaffermazione e successo sono sempre più pressanti. Questo però avviene in un quadro di crisi delle progettualità condivise e di precarietà che si manifesta sia nel lavoro che nell’ambito dei legami affettivi. I valori narcisistici e le aspirazioni volte all’affermazione, alla stima e alla popolarità caricano tutti di maggiori responsabilità riguardo lo stile e la qualità della propria persona. In particolare alle donne si chiede di aderire a ideali di competenza personale e a norme di competizione sociale (oltre a quelli sempiterni di bontà, bellezza e seduzione) che spesso con la desiderata emancipazione femminile hanno poco a che fare.
La cultura che nel mio libro L’epoca del panico chiamo “cultura dell’illusione” offre schemi simbolici e orizzonti esistenziali dove le qualità e le risorse individuali vengono valutate e soppesate come meri prodotti da immettere sul mercato delle opportunità non solo lavorative ma anche psicologiche, affettive e relazionali. La competizione con gli altri avviene in una realtà governata da un sistema di potere sostanzialmente ancora del tutto maschile. Questo nonostante la messa in crisi dei ruoli sociali esistenti e resistenti da secoli. La crisi delle tradizionali identità (famiglia, religione, ceto, ideali politici fino a quelle di genere) ha reso indispensabile e del tutto individualistico – e quindi gravoso – il compito di costruire la propria identità e un progetto per il futuro.
L’autorealizzazione – l’affermazione di sé’ e della propria esistenza – risulta faticosa e stressante, un percorso in salita disseminato di frustrazioni e talvolta di cocenti delusioni. Quello dell’autorealizzazione personale appare oggi più un obbligo che una scelta, un mito della modernità che si inflaziona nella deriva postmoderna, un dover essere più simile all’apparire che all’autentico essere se stessi tanto decantato… Un dover essere tra l’altro basato sullo sviluppo e sulla manutenzione di una non ben definita, snervante e mirabile autostima. Ma tentare la strada della realizzazione di quello che viene chiamato da tanti e inopportunamente “Vero Sé” comporta estenuanti sfide col mondo, gli altri e in modo particolare con se stessi. Un viaggio di Sisifo, che trascina un enorme sasso su per un monte: per vederselo poi scivolar di nuovo a fondo valle appena un attimo dopo aver compiuto l’impresa. E la mattina dopo si ricomincia daccapo!
Paradossalmente perseguendo il mito dell’autoaffermazione si rischia di snaturarsi e di allontanarsi dalle proprie intrinseche, innocenti ma potenti verità costruendosi un ”Falso Sé” bello, ammirevole e conformista, apparentemente forte ma dentro fragile, alienato e molto stressato. Nel tentativo di essere “veramente se stessi” ci si omologa a modelli di personalità socialmente integranti ed economicamente efficaci dove lo sforzo di “valere” ed essere unici e speciali va a coprire vuoti interiori, inconfessabili debolezze e imperdonabili (ma deliziose) pigrizie. Questo talvolta porta alla dissoluzione delle energie, altre volte a vere depressioni e spesso ad attacchi di panico. Per questo in ambito psicologico c’è una richiesta assillante di identità, di forza e di autocontrollo. Queste persone, costantemente in allarme, rischiano ansia strisciante e crolli depressivi. Fino all’attacco di panico.
Nell’attacco di panico l’unità psicocorporea va in crisi. Si incrina l’equilibrio e la sinergia vitale tra le diverse funzioni del corpo e della mente. Il funzionamento neurofisiologico passa da un eccesso simpaticotonico ad un crollo vagale che comporta tutte le note manifestazioni del panico: tachicardia, oppressione respiratoria, nausea, sudore freddo, pensieri di morte o di follia, sentimenti di estraniamento e depersonalizzazione insieme ad un terrore indicibile e ingovernabile. Apparentemente immotivato.
Il panico rivela la fragilità della consistenza e della continuità del Sé: il corpo appare come impazzito mentre la mente sembra non comprendere l’emergere convulso di percezioni e sensazioni che sono considerate del tutto immotivate e contraddittorie. Le antiche ferite emotive ed affettive sono nascoste nelle rigidità di una personalità compensata che nel panico svela drammaticamente la sua insicurezza. Sembra di cadere, precipitare da un gradino la cui altezza riflette l’eccesso di bisogni narcisistici.
Nel panico si smaschera l’aleatorietà dell’autostima e si infrange l’illusione del mito di un’autorealizzazione costruita sulla base di sterili (e stressanti) conferme sociali. Eppure, anche se in maniera dolorosa, i sintomi del disagio fanno riemergere emozioni inespresse, bisogni negati e desideri inesauditi ma mai perduti. Sono proprio queste emozioni, questi bisogni e questi desideri che vanno ascoltati, poiché il panico è anche rivelazione di una verità. Verità selvaggia, una verità detta male, urlata all’improvviso. Come in una archetipica apparizione del dio Pan, il dio del terror panico e della natura selvaggia: la natura autentica e inesplorata dentro e fuori di noi.