L’EPOCA DEL PANICO (Ed. Clueb, 2011 Bologna) Presentazione del saggio: 1 Abstract 2 Sommario 3 Premessa 4 Introduzione 5 Conclusioni 6 Bibliografia
1 ♦ Abstract
Questa è l’epoca del panico. L’arcaico urlo di Pan, il terror panico di epoche lontane, sembra riemergere dalla polvere dei millenni nell’inquietudine dell’uomo contemporaneo, nell’urlo interiore di un malessere nuovo: l’Attacco di Panico. Un disagio della civiltà, riflesso della cultura dell’illusione e dell’economia della finzione, che il panico, emblematica psicopatologia della postmodernità, esprime al meglio. Seguendo le tracce che dal mito di Pan portano ai nostri giorni, il saggio propone una lettura psico-sociale che approfondisce l’analisi clinica e arricchisce la terapia del disturbo del panico. Le caratteristiche del vivere sociale e dell’ambiente in cui abitiamo, ci muoviamo e lavoriamo alterano e snaturano finanche le dimensioni del tempo e dello spazio. Il sentimento del tempo e il senso dello spazio appaiono alienati e insieme alienanti: non-luoghi e non-tempi che suscitano spaesamento, turbamento e vertigine, poi un penoso senso di depersonalizzazione: e infine il panico.
Il panico è ansia parossistica, un’emozione estrema, acuta e paralizzante: è angoscia allo stato puro. Il disturbo da attacco di panico ha un inizio brusco e sconcertante: un esordio improvviso e apparentemente immotivato, un fulmine a ciel sereno che traccia un solco profondo tra il prima e il dopo, tra la vita di sempre e il malessere inaspettato e inconcepibile. Nel panico sembrano crollare le basi che sostenevano il senso di sé, vanno in crisi identità, personalità ed obiettivi: si destabilizza così l’intera esistenza. Da quel momento la persona vive temendo il pericolo, ad ogni suo passo, di un nuovo agguato del panico. Prima si sentiva una persona normale, sana e vitale, sicura di sé, intraprendente e orgogliosa. Un’immagine di sé caratterizzata da volontà e spirito d’affermazione, dotata di qualità, risorse e talenti su cui si fondavano autostima e pregio sociale. In realtà sotto l’immagine, nel profondo inconfessabile di sé, si celano insicurezze e fragilità che il panico fa semplicemente emergere. Nello sbriciolarsi delle apparenze e delle illusioni la persona è travolta dalle vertigini del disorientamento. Un immenso vuoto interiore: panico.
Il nuovo terror panico rivela lo smarrimento del sentimento panico, ovvero la perdita della natura selvaggia sia fuori che dentro di noi. Eppure il panico, attraverso il linguaggio paradossale del sintomo, esprime il desiderio di riconquistare l’incanto smarrito delle origini del mondo.
2 ♦ Sommario
Cap. 1. Il dio Pan dal mito alla psicopatologia
– La natura selvaggia dentro di noi – La morte di Pan – Duemila anni dopo – Il corpo di Pan – Il ritorno di Pan: l’urlo del panico
Cap. 2. Estasi e panico: quando il sentimento panico fa paura
– Estasi e sentimento panico – L’immensità – Il panteismo e lo scioglimento del legame uomo-natura – Appartenenza al Sé sociale e il panico dello scioglimento del legame
Cap. 3. Falso Sé globale: la società “come-se”
– La cultura dell’illusione in un’economia della finzione – Autorealizzazione: mito e inganno dell’autostima – Il problema dell’identità tra diversità, omologazione e integrazione – Dal feticismo delle merci al feticismo della personalità – La personalità “come-se” dal Re nudo al Cavaliere inesistente – Generazione virtuale tra nichilismo e rivoluzione antropologica
Cap. 4. Il Sé nella Psicologia Funzionale
– Le Funzioni e i piani psicocorporei – I Bisogni Fondamentali – Le Esperienze Basilari del Sé
Cap. 5. Il Sé sociale contemporaneo
– Dal Sé individuale al Sé sociale storicizzato – La società maniaco-depressiva – Dalla colpa alla vergogna, dal conflitto alle carenze – Psicopatologie del Sé postmoderno: dal narcisismo alle nuove dipendenze – I Bisogni Fondamentali nella postmodernità
Cap. 6. Il disturbo da Attacco di Panico
– Personalità di base prima dell’esordio – Le alterazioni Funzionali e il falso Sé – Identità e continuità del Sé: patologia del vuoto e depersonalizzazione – Luoghi e tempi del panico – I nonluoghi – I tempi persi – I nontempi
– Tempo e spazio vissuti, tempo e spazio alienati
Cap. 7. La Psicoterapia Funzionale dell’Attacco di Panico
– Diagnosi, diagramma e progetto terapeutico – Diagramma Funzionale dell’Attacco di Panico – Le Funzioni e il crollo del controllo nei quattro piani del Sé – Risanamento e integrazione: ricostruire le Esperienze di Base – Tecniche terapeutiche Funzionali – Conclusioni
3 ♦ Premessa
Questo saggio analizza il panorama psico-sociologico contemporaneo seguendo le tracce che dal mito del dio Pan portano all’Attacco di Panico, sintomo ed emblema del nuovo “disagio della civiltà”. La natura selvaggia di cui Pan era l’archetipo, e che l’uomo ha smarrito nel suo percorso storico, si esprime oggi nuovamente in un terror panico che rivela la perdita dell’esperienza del sentimento panico.
L’arcaico e terrifico urlo di Pan sembra riemergere dalla polvere dei due millenni passati dalla sua mitica morte nell’urlo interiore espresso da una psicopatologia essenzialmente postmoderna. Nel disincanto dell’attuale universo umano, costituito da “nonluoghi” e vissuto attraverso “nontempi”, l’originario sentimento panico – fonte di stupore ed estasi dei sensi – apre ad un vissuto emozionale di “immensità” che è sentito intollerabile. Il panico manifesta il disagio postmoderno e interpreta, attraverso modalità paradossali, la protesta contro la perdita della “natura selvaggia” dentro e fuori di noi, esprimendo allo stesso tempo il desiderio di riconquistare l’incanto perduto del sentimento panico.
L’attuale è l’epoca della crisi dell’identità sia individuale che sociale, crisi a cui ha portato l’economia capitalista nella sua finale deriva in “mercato delle illusioni” che offre merci, ma soprattutto stili di vita, come finzioni dell’individualità. Il Sé individuale, sradicato dalla consapevolezza dei Bisogni Fondamentali, perde lo slancio del desiderio, diventa nichilista e si adegua a interpretare personalità “come-se” mentre gli ideali moderni della libertà e dell’autorealizzazione personale si omologano nel mito mercantilistico della psicologia dell’autostima: il sembrare prende il posto dell’essere andando oltre l’ormai inflazionata e usurata aspirazione consumistica all’avere.
Allo stesso tempo il Sé sociale, nell’epoca della globalizzazione, propone una cultura e una socialità ugualmente “come-se” in cui imperversa un falso Sé sociale anch’esso globale che simula nell’immaginario mass-mediatico la realizzazione dei bisogni e dei desideri. La psicologia e la cultura della finzione identitaria incrinano e diradano la trama del vissuto spazio-temporale del Sé fino all’orrore dell’esperienza del vuoto che produce depersonalizzazione ed infine il panico.
La vacuità e l’aleatorietà del Sé sociale postmoderno si manifestano, oltre che nella sindrome del panico, in altre emergenti psico-socio-patie e, in generale, in una modalità del sentire e dell’agire collettivo che possiamo definire maniaco-depressiva e che ricalca metaforicamente, in un alternarsi di euforia e frustrazione, le fluttuazioni del mercato finanziario.
Il disagio della civiltà postmoderna si declina in forme diverse da quelle del secolo scorso passando dai disturbi originati dal conflitto e dalla colpa a quelli prodotti dalle alterazioni e dalle carenze delle Funzioni psicocorporee e delle Esperienze di Base del Sé. Nella prospettiva della Psicologia Funzionale possiamo considerare il panico come il riflesso dell’erosione e dell’alienazione del Sé originario e come conseguenza dell’ipertrofia, del logoramento e del conseguente crollo, della Funzione del controllo utilizzato in una continua vigilanza per far fronte alle carenze di integrazione e di continuità del Sé.
Prendendo atto dell’originalità del linguaggio dei nuovi sintomi la Psicologia Funzionale propone un progetto terapeutico volto a risanare e integrare le Funzioni e le Esperienze di Base maggiormente alterate nell’Attacco di Panico: un progetto che volendo abbracciare la complessità dell’organizzazione del Sé sente necessaria la considerazione di quei Bisogni Fondamentali che indicano la direzione di un sano sviluppo. Tutto ciò nel rispetto dei valori essenziali e ineludibili dell’uomo.
4 ♦ Introduzione
Questa è l’epoca del panico. Cioè l’epoca della paura del nulla. Proprio così. “Paura” non nel senso di fobia di qualcosa di specifico (ragni, serpenti, piccioni o sangue, per esempio), ma semplicemente paura di attraversare una piazza, di star fermi a un semaforo, di oziare finalmente inattivi sul divano di casa o di guardare e vedere come per la prima volta la profondità del cielo.
Il nulla, quindi: che sia vuoto di tempo come nelle attese e nelle pause o vuoto di spazio come nelle agorà delle acropoli postmoderne. Il nulla. Non c’è oggetto fobico: l’angoscia non si ancora a un oggetto da evitare a ogni costo ma solo luoghi e tempi senza un oggetto dentro. O meglio senza una relazione dentro: scatole spazio-temporali vuote dove la persona non vuole entrare: piazze vuote o affollate, centri commerciali, autostrade, ascensori. Situazioni dove viene a mancare qualcosa: la relazione, appunto, con sé e con il mondo.
Questa è l’epoca del panico. Dagli anni Quaranta agli anni Novanta i disturbi ansiosi si sono quadruplicati mentre il Disturbo da Attacco di Panico (DAP), distinto clinicamente dal “disturbo d’ansia generalizzato”, fa il suo esordio soltanto nel DSM IV del 1994 (Infrasca, 2000).
Sono ormai passati trent’anni dal saggio in cui Jean-Francois Lyotard (1979) teorizza la condizione postmoderna. Possiamo quindi a ragione affermare che il nostro sia un tempo post; un tempo che – come inflazione, eccesso e decadenza dell’era moderna – si può definire anche come iper-modernità: un tempo dove la società appare destinata a divenire regno di una dittatura tecnocratica che rende l’uomo antiquato e obsoleto. Oppure possiamo definirlo come tempo del post-umanesimo, epoca cioè della fine della storia che, per un supposto esaurimento del futuro, non potrà che portare a una catastrofe temuta ma comunque immaginata.
Secondo alcune fantasiose ipotesi la catastrofe definitiva sarà causata da un ineludibile disastro ecologico o da un irreparabile incidente nucleare; oppure da un attacco terroristico e da una guerra globale che condurranno il mondo a un nuovo e finale diluvio universale il quale – secondo alcune profezie recentemente alla moda – arriverà portando terremoti, scioglimento dei ghiacciai e innalzamento dei mari. Purtroppo fenomeni devastanti stanno realmente avvenendo sempre più frequentemente in più parti del pianeta (come è successo negli ultimi anni in Sumatra, in Cile, a New Orleans e in Giappone) e non per profezie millenaristiche bensì per macroscopici eventi meteorologici e sismici dovuti a imprevedibili mutamenti naturali ma anche e soprattutto a umanissimi delitti ecologici.
Nonostante l’oggettività scientifica dei fenomeni inerenti ai cambiamenti climatici riscontrati a partire dal secolo scorso si cercano e si profetizzano (come conferma a queste paure) scadenze e date di imminenti giudizi universali: come quella, per esempio, dell’anno 2012 indicato, come sembra, dal calendario Maya come l’anno finale per il mondo. È dalla notte dei tempi che aspiranti apocalittici profetizzano la fine del mondo: la morte collettiva e simultanea pacifica l’animo neolitico che alberga ancora nell’uomo prometeico illuminato dal fuoco rubato nella rivolta contro gli dei. Fuoco che divampa ormai ovunque surriscaldando il pianeta.
Vent’anni fa l’Attacco di Panico era quasi sconosciuto, confuso con l’ansia o l’angoscia: ora è considerato la nuova isteria, emblema di un’epoca alienante come l’isteria era una volta l’emblema dell’epoca del conflitto. La sindrome del panico è il fenomeno storico e socio-culturale per eccellenza dell’oggi, sindrome psico-sociale e sintomo del nuovo disagio Sé-mondo. Si tratta di un’epidemia psichica, anzi psicosomatica – una nuova “peste emozionale”, direbbe Wilhelm Reich – effetto di un’ideologia dominante che invece di coinvolgere in maniera repressiva le masse, invece di sorvegliare e punire con la forza, sembra aver scelto la più attuale ed efficace via biopolitica (Foucault, 1976) della seduzione e della persuasione occulta, insieme alla cooptazione del dissenso.
L’ideologia che dal dopo guerra ad oggi domina le coscienze spinge all’ossimoro vivente di un individualismo di massa che favorisce un nuovo “divide et impera” che isola e confina le persone nel loro vissuto privato frammentando le opinioni e l’opposizione. Niente di nuovo, si direbbe, da cinquant’anni a questa parte: la novità è insita in una nevrosi di massa non più distinguibile da un vivere quotidiano e normato, ben lontano però da un’esistenza sana e in armonia con la natura, in noi e fuori di noi. Si tratta di una nevrosi di massa che aliena gli individui e che produce una “psychose blanche”: borderline, invisibile, generalizzata e diffusa quasi come l’eccesso di CO2 che avvolge il pianeta.
L’attacco di panico è un evento che sorprende le persone all’improvviso, inaspettatamente, e che dura pochi minuti, da due a venti terribili e interminabili minuti. Il non aspettarselo è indicativo del senso di alienazione in cui esse vivono e insieme dell’inautenticità di tutto lo stile sociale che le circonda.
Eppure chi soffre e manifesta il sintomo è in qualche modo una persona che protesta, che insorge contro l’alienazione pur nella confusione e nel senso di disfatta. Chi soffre di Attacchi di Panico sta tentando, nel paradosso del terror panico, di contattare quella parte profonda di sé che non vuole rinunciare al sentimento panico, linfa vitale dell’armonia del rapporto tra gli esseri umani e la natura. Il dio Pan ne era la concretizzazione vivente: e tutto il mondo oggi ne avverte la nostalgia e il terrore.
5 ♦ Conclusioni
Dal panico si può guarire: ma non è possibile raggiungere questo obiettivo senza prendere in considerazione gli aspetti patologici delle situazioni dove esso mag-giormente esplode. Le caratteristiche personali ed emozionali degli individui – che sembrano ad un tratto non essere più capaci di stare dove prima sapevano tran-quillamente stare – non danno, infatti, una spiegazione sufficiente a queste difficoltà. Certamente le alterazioni psicocorporeee – come abbiamo ampiamente riscontrato nella personalità di base più esposta agli attacchi di panico – hanno provocato nel tempo un logoramento dell’equilibrio dell’organismo. Eppure non possiamo non prendere atto che anche lì, nelle dimensioni spazio-temporali dove si manifesta il disturbo, qualcosa si deve pur essere alterato e infine logorato.
Le persone si sentono profondamente alienate proprio in luoghi e in tempi anch’essi alienati. Il mondo in cui viviamo è intossicato da ambienti snaturati e mortificato da dimensioni del tempo estranianti. In questo senso il panico ha buone ragioni di manifestare, come in una catarsi teatrale, la nudità, la menzogna del reale e la sua oscenità, ovvero la verità profonda dell’essere che nella sua inquietudine dichiara: “qui non voglio stare, qui non esisto”.
Il panico squarcia il velo di Maya delle apparenze, fa intravedere il buco nero dell’angoscia e fa emergere la fragilità della falsa coscienza che si conforma alle scenografie del mondo delle illusioni contemporanee. L’epidemia postmoderna di attacchi di panico fa piazza pulita delle finzioni e afferma nel linguaggio dei sintomi una semplice verità: cioè che quei luoghi e quei tempi sono falsi.
Bisogna guardare oltre il valore dell’esperienza soggettiva di vuoto che il panico apre. Perché il senso di vuoto è verità nuda fatta di silenzio, spazi aperti, di altezze e lontananze. Il panico sente il vuoto ed esprime un’esigenza insopprimibile: ricon-quistare il piacere delle sensazioni e la bellezza del mondo. Ritrovare cioè il senti-mento panico.
Anche la nostra società civile e democratica, in preda allo spaesamento, alla frenesia, al cinismo e alla sociopatia, manifesta la necessità di una terapia. È in tal senso che possiamo aspirare – senza temere l’ingenuità e pur rischiando l’idealismo – a una terapia collettiva e globale: nel senso di una psico-socio-terapia “panica” che si ponga l’ambizioso obiettivo di una riconciliazione tra la società degli uomini, generazioni ormai adulte comprese, e quella natura selvaggia che, nel paradosso e nel parossismo, si esprime nella sindrome del panico.
La società ha bisogno di una terapia dell’immaginario e del desiderio che stimoli il Sé sociale a una rinnovata presa di coscienza dei bisogni fondamentali, dei valori e dei diritti umani universali; una mutazione simbolica che superi i dualismi pulsionali e psico-corporei, che vada oltre cioè la lunga infanzia dell’umanità, oltre le paralizzanti paure, oltre le proiezioni psicotiche e le illusioni mistiche.
La terapia collettiva passa attraverso la critica della psicologia di massa che ha portato alla formazione di un falso Sé sociale globale. Nell’attività psicoterapeutica ci si occupa dei singoli individui ma tanto si può fare in campo propedeutico e preventivo iniziando dal lavoro di formazione degli educatori, degli insegnanti e degli stessi genitori, senza aspettare di curare gli effetti del malessere nelle nuove generazioni. Il nostro tempo, d’altronde, mostra indizi di un fecondo rinnovamento che sconfessa gli scenari apocalittici presenti nell’immaginario nichilista alla Blade Runner del secolo scorso. Il postmoderno è un tempo ibrido, meticcio e multiculturale, con aspirazioni globali e localistiche, green e digitali, ad alta velocità e slow.
La psicologia del benessere sempre più dovrebbe proporsi come psicologia so-ciale, del lavoro e persino dell’ecologia e dell’urbanistica in modo da sottolineare anche dal punto di vista delle scienze umanistiche la necessità di risanare i luoghi e i tempi esautorati della naturalezza e della bellezza.
Non sarà certo possibile far rivivere nel nostro tempo il dio Pan ma possiamo tentare di riappacificarci con la natura selvaggia che sonnecchia indomita dentro di noi. Possiamo iniziare a rinunciare agli ingannevoli vantaggi del falso Sé e a riap-propriarci almeno individualmente della capacità di immergerci nel sentimento pa-nico: in attesa di un progetto sociale condivisibile che riesca prefigurare luoghi, tempi e modi di vivere dove Pan possa quantomeno sentirsi un po’ a suo agio e rinunciare così a farci prendere paura.
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